domenica 4 marzo 2012

Pipes of Peace: Analisi di un McCartney Minore




Un album di scarti e canzoni registrate durante l’impegnativa lavorazione di un film. Tutto questo e non solo è “Pipes of Peace”, disco di Paul McCartney datato 1983 e realizzato a partire da brani provenienti dalle sessions del fortunatissimo “Tug of War” (1982) e completato con nuovi pezzi incisi in pochissimo tempo durante le pause del set di “Give My Regards to Broad Street”, pellicola che sarebbe poi uscita nel 1984 e che lo vedeva recitare da protagonista in una storia da lui stesso scritta. Oltre alla qualità non sempre eccelsa delle composizioni, stupisce in negativo anche l’operato di George Martin, storico produttore dei Beatles, che dopo l’ottimo lavoro fatto sull’album precedente qui sembra “agire” di meno, dando vita ad un qualcosa di più semplice ed annacquato (anche lui è coinvolto nella colonna sonora del film e quindi “distratto”), di poco convincente. Non un capolavoro, dunque, ma un prodotto gradevole con alcuni episodi molto validi (due i singoli di successo) al quale sicuramente non ha giovato il confronto con quel “Tug of War” che, invece, contiene composizioni ed esecuzioni di altissima qualità ed è quasi unanimemente ritenuto tra le cose migliori del McCartney solista. Il cast di “Pipes of Peace” è sempre di prim’ordine: oltre all’immancabile moglie di Paul, Linda, che contribuisce saltuariamente a cori e tastiere, e all’ex-Wings Denny Laine, troviamo Ringo Starr, Eric Stewart (proveniente dagli allora appena sciolti 10cc), Steve Gadd, Stanley Clarke e, ospite d’onore, Michael Jackson. Con quest’ultimo McCartney aveva duettato l’anno prima in “The Girl Is Mine” (brano di Jackson inserito in “Thriller”), cominciando un’amicizia che qui ci regala due pezzi scritti da entrambi, ma che si interrompe qualche tempo dopo per quello che Sir Paul vede come un tradimento: l’acquisto dell’intero catalogo dei Beatles da parte di Jackson.
Passando ad una sintetica rassegna di tutti gli episodi dell’album, la title-track, uscita come singolo e arrivata al primo posto della classifica inglese, è tra le cose migliori; una ballata allegra che si avvale di un coro di bambini e che McCartney nelle interviste ha definito come una risposta a “Tug of War” (che dava il titolo al lavoro precedente), dove, pur augurandosi la pace, descrive la guerra come un male necessario; qui invece l’artista sembra credere possibile qualcosa di completamente diverso: pace, amore e positività; anche il videoclip è, in questo caso, significativo: ispirandosi a un episodio reale (nel Natale 1914, durante la Prima Guerra Mondiale, i soldati francesi e tedeschi lasciarono le trincee per scambiarsi gli auguri), Paul interpreta il doppio ruolo dei due generali, che nello spazio di un ritornello guidano l’incontro pacifico con l’esercito nemico. Il secondo brano è il duetto con Michael Jackson, “Say Say Say”, anch’esso balzato ai vertici delle classifiche (numero 1 in USA e numero 2 in UK); il pop/rock di McCartney si incontra col funk di Jackson e, ben amalgamandosi, dà vita ad uno dei pezzi più commerciali e radiofonici dell’ex-Beatles, molto ritmato e arricchito da una sezione di fiati e da un assolo di armonica.
Il video è un classico spesso trasmesso anche ai giorni nostri dalle tv musicali, un vero e proprio cortometraggio (oltre alla canzone c’è un’introduzione “recitata”) dove i protagonisti Paul, Linda e Michael organizzano una truffa ai danni degli ingenui abitanti di un villaggio, spacciando loro una pozione miracolosa; si rivelano però dei truffatori “buoni” in quanto vanno a consegnare il ricavato a un orfanotrofio. “The Other Me” è una di quelle tracce che avrebbe forse avuto bisogno di una produzione più curata; la melodia è fresca ed allegra, quasi beatlesiana nella sua “infantilità”, ma il brano sembra un demo, essendo poco arrangiato e vedendo la presenza di un ristretto numero di strumenti. “Keep Under Cover” sembra quasi rifarsi alla Electric Light Orchestra (che paradossalmente a sua volta si ispirava ai Beatles!), per via del riff suonato con un violino; dopo una intro lenta che “anticipa” parte della melodia successiva, il pezzo prosegue con delle tipiche sonorità anni ’80, con batteria elettronica, molte tastiere e dei bei passaggi di chitarra elettrica, che accompagnano egregiamente un motivo accattivante e un testo pieno di luoghi comuni e domande retoriche del tipo “a che serve il burro se non hai il pane?”.
Chiude il lato A (se consideriamo il vecchio vinile) “So Bad”, una romantica ballata eseguita interamente in falsetto, che vede come strumento protagonista il piano elettrico e si avvale di un assolo fatto con uno strumento a fiato, che potrebbe essere un corno inglese ma anche un sintetizzatore (purtroppo i crediti dell’album sono scarni e non ci aiutano a identificare né che strumenti vengono suonati né chi li suona). Il lato B si apre col secondo duetto McCartney/Jackson, “The Man”; una canzone allegra che vede protagoniste delle chitarre acustiche ma anche dei flauti e un bell’assolo di chitarra elettrica e che, come la precedente collaborazione tra i due, mantiene comunque una elevata “orecchiabilità”. “Sweetest Little Show” continua il filone più acustico: è una traccia dal sapore country con una melodia molto semplice che ne richiama altre dello stesso autore, ma comunque gradevole; a spezzare la monotonia dell’episodio c’è anche un intermezzo con la chitarra classica, con tanto di applausi finali (visto che rappresenta appunto lo “show” di cui parla il testo).
“Average Person” è il tipo di pezzo che in genere suscita reazioni completamente avverse, nel senso che o lo si odia o lo si ama; il testo racconta tre aneddoti riferiti a tre “persone comuni” incontrate per strada che, come si scopre, hanno delle particolari ambizioni nascoste, e il tutto viene narrato e cantato da McCartney quasi “recitando” le tre storie; i numerosi effetti sonori intercalati e la melodia molto giocosa e “cartoonesca” (un po’ alla “Ob-La-Di, Ob-La-Da”) rendono il tutto perfetto come sigla di un cartone animato. Segue “Hey Hey”, uno strumentale scritto in coppia col bassista Stanley Clarke, che ha un riff carino ma non va purtroppo oltre quello; a metà strada tra il ripetitivo e il superfluo, poteva essere migliorato o evitato. Arriviamo a quello che è indubbiamente il momento peggiore del disco, momento che genera tra i fan di McCartney un senso di rabbia e di stupore; il buon Paul ha la geniale idea di fare una sintesi dei due titoli usati per la title-track di questo lavoro e per quella del precedente e se ne esce con “Tug of Peace”. Il problema ovviamente non sta nella bislacca pensata (che può sembrare buona o pessima a seconda dei punti di vista), ma nell’orribile arrangiamento elettronico e nella mancanza di una buona melodia. Il risultato è un pezzo scadente e quasi “offensivo” nei confronti appunto degli altri due (di “Tug of War” ci sono delle vere e proprie citazioni musicali). Chissà dove si trovava Sir George Martin quando è stata registrata questa canzone…
L’album originale si conclude con “Through Our Love”, la classica ballatona melodico-sentimentale infarcita di interventi orchestrali in pieno stile McCartney; bella ma non eccezionale, non spicca particolarmente in confronto ad altri brani simili scaturiti dal medesimo autore, ma è da rilevare l’imponente arrangiamento che valorizza il tutto. L’edizione rimasterizzata in CD pubblicata nel 1993 contiene anche tre bonus: “Twice in a Lifetime”, scritta per l’omonimo film del 1985 con Gene Hackman (in italiano “Due volte nella vita”), è un pezzo molto patinato ma con una melodia anonima e un inutile riff di sax; “We All Stand Together”, uscita come singolo nel 1984 ma registrata nel 1980, sempre con George Martin, per il cortometraggio animato “Rupert and the Frog Song” (opera dello stesso McCartney), è una traccia particolare, in cui un irriconoscibile McCartney interpreta varie voci di animali di fantasia affiancato da cori e da un’imponente orchestra; anche questo si può amare o odiare in quanto “brano da cartone animato”, ma se non altro conferma la grande poliedricità del personaggio; infine, “Simple as That”, pubblicato in una compilation benefica del 1986, è un reggae un po’ annacquato che, al pari delle B-side, può essere definito simpatico ma non memorabile, e, forse, ricordato più che altro per una curiosità: ai cori ancora una volta ci sono dei bambini, che però in questo caso sono i tre figli di Paul.


Autore: Andrea Grasso
Pubblicato su: http://www.dietrolequinteonline.it/?p=10286

 

Nessun commento:

Posta un commento