giovedì 22 marzo 2012

Yellow Submarine, il cartone dei Beatles in DVD e Blu-Ray

Il film animato del 1968 Yellow Submarine, che vede protagonisti le versioni a cartone animato dei Beatles e che ovviamente vede le loro canzoni fare da colonna sonora, uscirà il prossimo 28 Maggio in versione restaurata, su DVD e Blu-Ray; con l'occasione verrà rilasciata anche una nuova versione su CD della colonna sonora.


Il film è stato restaurato fotogramma per fotogramma con la risoluzione digitale 4K, e tra i contenuti extra troveremo: un documentario di 7 minuti e mezzo col dietro le quinte della lavorazione intitolato Mod Odissey, il trailer cineamtografico originale, commenti audio del produttore John Coates e del direttore artistico Heinz Edelmann, varie interviste ad altri personaggi coinvolti nel film (doppiatori, autori e animatori) alcune sequenze del copione, 29 disegni fatti a mano e 30 foto del dietro le quinte.
Inoltre sia il DVD che il Blu-Ray saranno inclusi in una confezione digipack che includerà anche delle riproduzioni dei fotogrammi in celluloide, adesivi da collezione e un libretto di 16 pagine con uno scritto di John Lasseter.
L'audio, presente oltre che in lingua originale anche in Italiano, sarà disponibile in mono (come l'originale), Dolby stereo e 5.1 DTS; presenti anche i sottotitoli in italiano.


Fonte: superdeluxeedition.com


Edizione speciale di Ziggy Stardust di David Bowie per il 40° anniversario

Il prossimo 4 Giugno uscirà un'edizione speciale dello storico album di David Bowie "The Rise and Fall of Ziggy Stardust and The Spiders From Mars" per celebrare il suo 40° anniversario.


La pagina Facebook ufficiale di Bowie ci informa che saranno disponibili i seguenti formati:
  • CD: l'album originale rimasterizzato nel 2012 da Ken Scott e Ray Staff, rispettivamente il produttore e l'ingegnere originali
  • DVD: contiene l'album sia in versione 96/24 PCM stereo che in 48/24 PCM stereo che in 5.1 DTS & Dolby Digital, più delle bonus track inedite sempre in 5.1:
    • Moonage Daydream (instrumental)
    • The Supermen
    • Velvet Goldmine 
    • Sweet Head
  • LP: vinile da 180 grammi.
Il CD sarà venduto da solo, mentre LP e DVD saranno venduti insieme.

martedì 20 marzo 2012

Roger Hodgson dei Supertramp torna in Italia

Roger Hodgson, ex-leader dei Supertramp, che ha scritto e cantato il 50% del repertorio della band negli anni 1970-1982 (e a cui si devono quasi tutti i loro hit e i brani più conosciuti e passati anche in radio, tra cui le arcinote The Logical Song, Take The Longway Home, Breakfast In America, Give A Little Bit, It's Raining Again e Dreamer), ha al momento in programma tre date in Italia per questa estate:


  • 11 Giugno, Teatro Smeraldo, Milano (con band)
  • 18 Luglio, Piazza Napoleone, Lucca (con band)
  • 12 Settembre, Merano Kursaal, Merano (solo show, con un sassofonista)
I biglietti per la data di Milano costano da €46 a €69 e si possono acquistare qui:
http://www.ticketone.it/roger-hodgson-biglietti-milano.html?affiliate=ITT&doc=artistPages%2Ftickets&fun=artist&action=tickets&key=744002%242050516&jumpIn=yTix&kuid=462642&from=erdetaila

I biglietti per Lucca costano €46 o €92 e sono già acquistabili qui:
http://www.ticketone.it/roger-hodgson-biglietti-lucca.html?affiliate=ITT&doc=artistPages%2Ftickets&fun=artist&action=tickets&key=744002%242035137&jumpIn=yTix&kuid=462642&from=erdetaila

I biglietti per Merano costano da €35 a €70 e per prenotarli bisogna contattare l'organizzazione del Sudtirol Classic Festival da questa pagina:
https://secure.riedmann.it/meranofestival/ticketsales.php?lang=it 


Inizialmente era stata annunciata anche una data a Napoli che però è stata purtroppo annullata.


La band che accompagna Hodgson vedrà Aaron McDonald al sax, Bryan Head alla batteria, Kevin Adamson alle tastiere e David J Carpenter al basso; una formazione dunque ideale per ricreare gli stessi suoni dei Supertramp degli anni '70.

Roger Hodgson, co-fondatore dei Supertramp assieme a Rick Davies, ha fin dagli inizi caratterizzato il sound del gruppo con le sue melodie orecchiabili ma con retrogusto progressivo, con la sua voce dal timbro alto molto particolare e unica, con le sue armonie vocali sovrapposte e col suo stile "percussivo" nel suonare le tastiere (il classico esempio è l'intro di Dreamer).


Roger ha lasciato i Supertramp nel 1983 dopo un ultimo tour mondiale, per crescere i suoi figli e prendersi un po' di tempo fuori dal business musicale; da allora ha comunque intrapreso una carriera solista composta attualmente da tre album in studio e un album live (contenente anche brani inediti), con l'aggiunta di un DVD di un concerto a Montreal. Da metà anni 90 ha ripreso a portare in giro per il mondo il suo repertorio, sia solista che dei brani scritti per i Supertramp, esibendosi sia completamente da solo (alternando chitarra e tastiere) che con un sassofonista che con una band al completo e in alcuni casi anche con un'orchestra.
E' prevista nei prossimi mesi la pubblicazione di un ulteriore album dal vivo in doppio CD, Classics Live, contenente brani eseguiti in queste varie configurazioni nonchè con l'accompagnamento di un'orchestra.


I suoi concerti non deludono i fan dei Supertramp, in quanto Hodgson esegue praticamente tutti i brani che ha portato al successo con la band, aggiungendo anche delle perle meno conosciute del repertorio della band e della sua carriera solista.


Roger aveva già suonato in Italia in passato: la prima volta nel maggio del 2000 al teatro Franco Parenti di Milano (da solo) e la seconda a Collepietra nell'ottobre del 2008 (accompagnato dal sassofonista Aaron McDonald).

Per informazioni: www.rogerhodgson.com


lunedì 19 marzo 2012

Aggiornamento: Madonna aggiunge un'altra data italiana a Roma

Oltre alle due già annunciate date italiane del 14 Giugno allo Stadio San Siro di Milano e del 16 Giugno allo Stadio Franchi di Firenze (di cui vi abbiamo già riferito:
http://musicworlditalia.blogspot.it/2012/01/nuove-date-italiane-per-madonna.html ), Madonna aggiunge una terza data al suo tour italiano: il 12 Giugno allo Stadio Olimpico di Roma.
I biglietti saranno disponibili in esclusiva per gli iscritti al Fan Club ufficiale dalle ore 10 di martedì 20 marzo; per tutti i titolari di carta American Express saranno disponibili a partire dalle ore 9 di mercoledì 21 marzo; mentre in anteprima per gli iscritti a My Live Nation a partire dalle ore 12 di mercoledì 21 marzo al seguente link: 
http://www.livenation.it/artist/madonna-tickets?C=FB_WP_MADONNAROMA

La vendita generale partirà alle ore 10 di venerdì 23 marzo sul sito www.ticketone.it e in tutte le prevendite autorizzate.

Fonte: livenation



 

giovedì 15 marzo 2012

Elton John ritorna alle origini con The Diving Board

E' stata pubblicata oggi sulla rivista americana Rolling Stone un'intervista in cui Elton John, che tra pochi giorni compirà 65 anni, rivela per la prima volta dettagli sul suo nuovo album, che ha da poco terminato di registrare e che uscirà il prossimo autunno.
Elton confessa un inizio un po' incerto: a Gennaio aveva appuntamento in studio con lo storico produttore T-Bone Burnett (che ha prodotto anche il suo album precedente del 2010, The Union, in coppia con Leon Russell), ma non era molto convinto sul fatto di tornare a incidere dopo così poco tempo dall'album precedente e, non avendo le idee ben chiare sulla direzione musicale da prendere, non aveva scritto ancora nemmeno un brano; la sua svogliatezza iniziale si intuisce anche dal dettaglio che non avesse nemmeno letto i testi che il fido paroliere Bernie Taupin gli aveva già fatto avere da tempo (e sui quali Elton, come fa da 45 anni a questa parte, avrebbe dovuto comporre la musica); era quinidi entrato in studio con un approccio del tipo "se funziona bene, altrimenti pazienza!"


A questo punto entra in ballo Burnett, che suggerisce ad Elton di provare a suonare qualcosa solo con piano, basso e batteria, proprio come fece nel 1971 in un tour che diede vita a uno degli album live più famosi della storia, "17-11-70" (con il compianto Dee Murray al basso e alla batteria Nigel Olsson, musicista che a tuttoggi fa parte della band con cui Elton si esibisce dal vivo); Elton accetta il suggerimento e vuole scegliere personalmente i musicisti: il bassista è Raphael Saadiq, con cui aveva già suonato in un evento benefico per la raccolta di fondi per i malati di AIDS, e il batterista è Jay Bellerose, che ha già suonato nel precedente The Union.


Una volta composto il trio, Elton comincia ad avere un attacco di creatività imprevisto, e racconta di aver composto dodici brani in due giorni, di averli successivamente registrati nei successivi quattro giorni e di averne scelto dieci per il suo nuovo album, per cui è già stato scelto il titolo di "The Diving Board"; a quanto pare quasi tutti i brani sono appunto suonati in trio piano/basso/batteria e solo in due pezzi c'è anche l'aggiunta di una chitarra da parte di Doyle Bramhall.
Elton definisce il suo nuovo album il più veloce che abbia mai composto e il più eccitante da molto tempo (specificando "album solista" in quanto The Union era stato altrettanto eccitante ma è stato realizzato in coppia con Leon Russell).


I primi commenti a caldo dei fan di Elton John più accaniti sono entusiastici, perchè si tratta di un tipo di album che segna ancora una volta il "ritorno alle origini" di Elton e che attendevano da molto tempo; già delle sonorità più tradizionali, con molto pianoforte e con poca elettronica hanno caratterizzato gli album che Elton ha inciso dal 2001 in poi, ma finora non ha mai inciso, nemmeno negli anni d'oro, un album di studio intero con questa configurazione "in trio"; un ritorno alle origini, dunque, che contemporaneamente costituisce una novità nel ricchissimo catalogo del baronetto inglese.

Fonte: http://eltonjohnforum.forumfree.it/?t=60708012

martedì 13 marzo 2012

The Niro: Personali Percorsi Musicali




Uno studio di registrazione nel cuore di Catania. Qui mi aspetta Davide Combusti, in arte The Niro, per un’intervista esclusiva con la quale cercherò di dare uno sguardo approfondito al suo recente passato e di riferirvi dei suoi progetti attuali ma anche di quelli futuri. Entrato nello studio, respiro da subito l’aria della musica importante, di qualità; nella sala d’attesa fa bella mostra di sé una libreria con diversi volumi dedicati ad alcuni gruppi storici e una manciata di dischi in vinile, mentre ai muri si scorgono locandine promozionali degli album del boss Cesare Basile. Davide è al lavoro. Agli occhi del profano, un lavoro particolarmente impegnativo perché per queste incisioni ha deciso di suonare tutti gli strumenti da solo. Vedendolo all’opera però sembra che per lui sia la cosa più naturale del mondo: passa dalla sala di registrazione, dove ha appena suonato la traccia di pianoforte, a quella di regia per assicurarsi assieme al fonico che tutto sia andato per il verso giusto; poi, ritorna indietro e incide ad una ad una tutte le percussioni ed infine termina con varie tracce di cori. È uno da “buona la prima o quasi” lui, ma ovviamente il risultato finale sarà accurato ed altamente professionale. Finalmente, terminata l’impegnativa session, The Niro mi accoglie stanco ma sorridente in sala d’incisione, e, circondati da strumenti di ogni tempo e tipo, facciamo una bella chiacchierata sulla sua breve ma intensa carriera.


Sei in grado di identificare l’evento o il momento in cui sei riuscito a sfondare nel mondo musicale?
«L’evento in cui sono cambiate le cose, ma non l’avevo identificato, fu il concerto di Carmen Consoli al Camden Centre di Londra. C’era l’emissario della Universal inglese che mi aveva notato e da lì hanno cominciato a seguirmi. L’evento in cui ho realizzato di essere riuscito a salire quel gradino che mi ha portato a realizzare degli album fu quando aprii il concerto di Amy Winehouse a Milano: quel giorno ho firmato il contratto con la Universal che mi avrebbe legato all’etichetta per due dischi».


Cosa ne pensa la tua famiglia del tuo successo?
«Inizialmente mio padre non mi ha appoggiato granché, mia madre un po’ di più. Poi, quando le cose hanno cominciato ad andare bene, anche mio padre ha cominciato a seguirmi ed appoggiarmi. Ora sono entrambi contenti».


Chi sono i tuoi idoli e gli artisti che più ti hanno ispirato musicalmente?
«Idoli non ne ho. Nel senso che non sono mai stato proprio fan di qualcuno. A chi mi sono ispirato? Vediamo, pure questo è difficile, perché sento talmente tante cose che probabilmente quando poi le tiro fuori si capisce quello che ho ascoltato; io sono un frullatore, prendo le cose, le mastico, le elaboro e poi le tiro fuori istintivamente senza pensare a chi dire grazie, quindi dico grazie alla musica in generale. Posso sentire di tutto, dal rock al folk, dal reggae al jazz, al blues, trovo qualunque cosa potenzialmente interessante e non mi pongo limiti né nell’ascoltare né nel creare; poi, ovviamente, non mi piace tutto, anzi mi piace veramente poca roba, però dal punto di vista dell’ispirazione ogni artista ha sempre qualcosa di particolare che può colpirti o meno, quindi probabilmente certe cose le prendo senza sapere perché. Anche il cinema è una grande fonte di ispirazione».


Infatti stavo proprio per chiederti quali sono i tuoi film e dischi preferiti…
«Pure qui è difficile! Mi piace molto Baci rubati di Truffaut (NdR non è forse un caso che un brano del suo primo album si intitoli proprio “Baisers volés”, titolo originale della pellicola), la sua poetica; Cul-de-sac di Polanski; andando più sul commerciale Il principe cerca moglie di John Landis mi piace da morire, l’ho visto 500 volte, so tutte le battute a memoria, ma anche Frankenstein Junior. Il cinema lo prendo dal trash al film d’autore, cerco di vedere tutto, anche nel brutto c’è del bello. Dischi preferiti? Figure 8 di Elliott Smith, The Hour Of Bewilderbeast di Badly Drawn Boy, il primo album omonimo di Tim Buckley».


Come definiresti il tuo stile a chi non ti conosce?
«Un “melting pot” di suoni! Questa è la domanda più difficile, non sono ancora riuscito ad elaborare una risposta standard. Sicuramente gli album sono un po’ rock nell’approccio e punk nell’esecuzione… io sono una persona timida, quindi mi esprimo attraverso la musica e mi lascio andare. La mia musica è violenta e dolce, rilassante e viscerale, passionale, cerco di metterci un po’ di tutto, soprattutto quando parlo non solo di storie mie, ma della vita, di quello che vedo».


Anche qui mi hai anticipato la domanda successiva: di cosa parlano i tuoi testi e sono ispirati alla tua vita reale o frutto di fantasia?
«Sicuramente tutto è ispirato a cose reali, e tante volte le cose reali le maschero e le rendo storie, in cui si parla di personaggi fantastici, iperrealistici, ma in generale parto sempre da uno spunto personale, quindi potrei quasi dire che i testi sono autobiografici».


Come componi i tuoi brani? In genere viene prima la musica o il testo?
«Sempre prima la musica. In realtà, dentro ho già il testo perché so qual è stato il momento in cui mi è uscita fuori una melodia e in che stato d’animo ero e so già di cosa voglio parlare, però se prima non c’è la musica io non scrivo il testo».


Componi brani anche per altri artisti, ad esempio Malika Ayane. Come cambia il tuo modo di comporre per altri rispetto che per te stesso?
«Nel caso di Malika, lei mi ha chiesto di scrivere come se lo stessi facendo per me e io così ho fatto».


Spiegaci la tua scelta di cantare in inglese.
«Non me lo spiego! Quando ho cominciato non ho pensato di cantare in inglese per diventare famoso. Facevo le cose nella mia stanzetta e sono uscite in inglese. Quando ho messo la testa fuori hanno cominciato a chiedermi di cantare in italiano, quindi il tentativo di sabotarmi è nato dopo! Io mi sono sempre trovato bene con l’inglese, gli altri insistevano che in italiano è meglio perché siamo in Italia… ma io sono sempre stato bastian contrario fin da piccolo! Più mi dicono di fare una cosa, più metto le barricate. In realtà, ho cominciato a scrivere qualcosa in italiano ma per una cosa mia, non perché me lo chiedono. Mi sono venuti fuori pezzi in italiano, ma anche in spagnolo, in francese: potrei fare dei dischi con l’opzione multilingue come nei DVD!».


Sei in grado di suonare tutti gli strumenti principali di una band e quindi virtualmente in grado di realizzare un album tutto da solo; nonostante ciò nei tuoi due album hai ospitato diversi musicisti. In base a cosa li hai scelti?
«In effetti, per il primo album ero partito dall’idea che volevo fare tutto da solo, ma mi hanno fatto capire che sarebbe stato meglio importare idee nuove, e le persone che ci hanno suonato, suggerite dal produttore, sono state fantastiche. Ho amato così tanto questi musicisti che hanno anche suonato con me dal vivo. E poi c’è una tromba, io la tromba non la so suonare! Anche se in realtà nel secondo disco c’è qualche tromba suonata da me… nel frattempo ho imparato qualcosa! Nel secondo album hanno suonato come ospiti i musicisti abitualmente con me dal vivo; mi sembrava giusto farli partecipare visto che già qualche pezzo lo facevamo in concerto. Amo anche loro, fanno ormai parte della mia famiglia, dormiamo e mangiamo insieme da 5 anni, siamo amici e ci vediamo anche fuori dal mondo musicale».


Dal vivo hai due dimensioni: una elettrica con la band, e una acustica dove sei solo tu e la tua chitarra. Quale preferisci?
«Con la band c’è più soddisfazione perché i pezzi io li penso per una band, però chitarra e voce dà altre sensazioni, sei più nudo e non sai che pubblico hai di fronte, cambia da città a città: c’è quello educato e silenzioso, quello che chiacchiera pur apprezzandoti. C’è più adrenalina perché sai che sei nudo su un palco».


I tuoi primi due album sono abbastanza omogenei fra loro. Cosa prevedi nella tua evoluzione musicale, pensi di introdurre dei cambiamenti stilistici nei prossimi album o vuoi rimanere sempre fedele al tuo stile originario?
«Non lo so. I primi due dischi non li ho pianificati. Nel secondo ci sono brani scritti antecedentemente il primo lavoro. Quando scelgo i pezzi per un album non cerco di realizzare le cose nuove, ma piuttosto qualcosa di omogeneo, per cui un brano scritto 5 anni fa potrei trovarlo attualissimo per il terzo disco, mentre un brano di un mese fa potrebbe ricordarmi una cosa passata e potrei tenerlo nel cassetto per tutta la vita. L’idea è di fare una cosa omogenea, per cui quando si ascolta un disco dall’inizio alla fine si sente un mondo a sé stante, anche se i brani sono diversi tra loro. Ad esempio, nel primo album c’è quello che io chiamo il “pezzo salvia”, An Ordinary Man, che è una canzone allegra ed è di un mondo diverso rispetto agli altri brani, ma mi serviva per spezzare».


Molti ascoltatori di musica “tradizionali” non hanno ancora sentito parlare di te e i tuoi brani non passano a rotazione continua nelle principali radio nazionali, quindi non ti si può considerare un artista “mainstream”. È stata una scelta tua e/o della tua casa discografica o semplicemente stai costruendo la tua carriera per cercare di arrivare al “mainstream”?
«Nessuna delle due cose. Io sto facendo un percorso che non so dove mi porterà… penso che nessuno sappia la ricetta per arrivare al mainstream. Io potrei anche arrivarci con le cose che faccio, come ci sono arrivati i Radiohead, che fanno quello che vogliono e arrivano a gran parte del pubblico; io vorrei fare la mia musica, essere apprezzato per quella senza svendermi e fare il pezzo facile, la musica è quello che ho dentro e tiro fuori, se vi piace bene, se no pazienza. Io sono felicissimo di ascoltare le cose che faccio perché sono le cose che io ascolterei, quindi io faccio la musica che ascolterei… e se fossi un radiofonico passerei la mia musica!».


Tu curi personalmente il tuo profilo Facebook e spesso nella tua bacheca chiacchieri coi tuoi fan e li aggiorni in tempo reale sui tuoi progetti e i tuoi movimenti. Che rapporto hai con loro?
«Buono, soprattutto durante i concerti. Su Facebook non ci sto tutti i giorni, ma quando posso aggiorno, scrivo e chiacchiero con le persone per confrontarmi. Ma soprattutto dal vivo mi piace a fine spettacolo scendere in mezzo alla gente e conoscerla, parlare e avere un confronto con loro; vedo che le persone mi vogliono bene, quindi per ora direi proprio che il rapporto con loro è bello».


Come abbiamo avuto modo di vedere, oltre che per il concerto alla Lomax, sei venuto a Catania per un progetto molto particolare. Dicci di più.
«Il progetto nasce dalla ViceVersa Records, storica etichetta di Catania che si sta rilanciando e per farlo ha deciso di fare una cosa originale che mi è piaciuta molto: creare una collana di vinili dedicata a cantautori italiani e internazionali. Ogni cantautore è stato invitato a Catania per una sessione di tre giorni, durante i quali poteva fare tutto quello che voleva e il risultato verrà “immortalato” per i posteri in un vinile a tiratura limitata, circa 500 copie; in un secondo momento ne uscirà anche una versione digitale. Io sono molto veloce e nonostante ciò ci ho messo tre giorni e mezzo a registrare tutto, però sono molto contento, il risultato mi soddisfa… chi avrà il piacere di ascoltare questo vinile potrà essere d’accordo con me».


Cosa ti piace di Catania?
«Il cibo, il clima… faccio prima a dire cosa non mi piace! Non c’è niente che non mi piace… mi piace tutto!».


Questo album “catanese” verrà stampato solo in vinile, ma ci sono dei tuoi brani extra che sono disponibili solo come download, quindi ti sei mosso tra i due estremi opposti della tecnologia dei supporti musicali. Cosa ne pensi del fatto che in un futuro forse non troppo lontano tutti gli artisti pubblicheranno i loro lavori solo come download e non più su supporti fisici?
«Penso che ormai sia inevitabile! Per questo il vinile secondo me è importante, ha un che di artistico anche a livello estetico, senti il vinile in mano, lo vedi e lo sfogli, è un oggetto che mi dà soddisfazione… il cd non mi ha mai dato soddisfazione, mi è sempre sembrata una cosa fredda e piccola. I download ci saranno finché non inventeranno qualcos’altro: magari ci passeremo telepaticamente le canzoni, il mondo si sta evolvendo a una tale velocità! Forse si troverà il modo di scaricare i brani in modo sempre più legale, anche se la gente si è abituata al fatto che la musica sia un bene comune gratuito… per cui per me diventerà quasi un hobby fare canzoni, anche se personalmente la cosa che mi spinge è la passione per la musica, per cui se la gente non comprerà i miei dischi non smetterò di suonare, lo farò per me e magari non farò sentire nulla agli altri!».


Coi tuoi concerti hai girato moltissimo, suonando spesso e volentieri anche in giro per l’Europa e negli Stati Uniti. Che differenze ci sono tra il pubblico italiano e quello estero?
«Partiamo dal presupposto che quando sono sul palco potrei anche avere davanti gente che fa campeggio e non mi cambierebbe nulla, quindi da sopra è uguale. Però devo dire che come riscontri oggettivi all’estero sono molto apprezzato, soprattutto in Inghilterra, U.S.A., Francia e Germania… ho il mio seguito e quando posso suono volentieri all’estero. Il pubblico italiano negli anni ‘70/’80 era il peggiore di tutti, infatti non veniva nessuno a suonare qui, tiravano qualunque cosa a chiunque; poi negli anni ‘90/2000 il pubblico è diventato caloroso, si entusiasmava ai concerti, forse anche perché finalmente ritornavano gli artisti a suonare. Adesso non c’è più amore per i gruppi… a Catania e in tante altre città italiane c’è passione e un entusiasmo incredibile, ma spesso vedo il pubblico con le braccia conserte, un approccio poco fisico, con poca partecipazione, sembra quasi che la reazione sia la stessa per qualsiasi artista; magari è una reazione tiepidamente calorosa ma sempre molto composta. Magari siamo noi musicisti della nuova generazione che non riusciamo a essere così icone, come per esempio lo è Springsteen; lo invidio perché i suoi fan si mettono la fascetta, sudano e si vivono il concerto».


Raccontaci qualche aneddoto dai tuoi diari “on the road” che ricordi con piacere.
«Ce ne sono tanti… al T.I.M.E., la fiera della Musica Indipendente a Parigi, ci hanno detto che potevamo suonare solo un tot, perché c’erano altri gruppi dopo; quando finimmo il pubblico era in piedi a chiederci il bis, che fu concesso dagli organizzatori, e quel giorno fummo gli unici a farlo. Ad Austin, Texas, per il South by Southwest, il principale festival americano della musica emergente, all’Hilton Hotel c’erano una trentina di persone, tra cui il produttore degli Stone Temple Pilots, qualcuno gli consigliò di venirmi a vedere e rimase molto colpito, siamo ancora in contatto e stiamo cercando il modo di lavorare insieme. Durante un concerto a Hollywood, il produttore dei Metallica venne da noi dicendoci di non aver mai sentito nulla di simile… all’estero non è facile che succedano queste cose, in quegli ambienti la musica ha un livello altissimo, ma quando vai e ti riconoscono originalità e talento fa piacere».


Per concludere, anticipaci qualcosa dei tuoi progetti futuri.
 «Sto lavorando ad alcune colonne sonore, la più imminente è di un horror italiano, Mr. America, sia strumentale che con canzoni, uscirà entro quest'anno; e un’altra per un film italiano recitato in spagnolo girato a marzo, mi sono introdotto nell’ambiente cinematografico. Ho in programma una pellicola musicale, Nowhere, ma ci stanno facendo attendere per realizzarla. Non è un progetto semplice, l’idea di fare in Italia un film musicale di qualità ha sfiorato la mente di pochi e bisogna convincere i produttori, a cui sono già piaciute sia la storia che la musica, che il progetto è valido e che c’è un mercato. Io penso che anche chi non è appassionato alla mia musica, ma alla musica in genere, potrebbe andarlo a vedere anche solo per curiosità. Per quanto riguarda il mio terzo album, i brani sono pronti per essere registrati in studio, ma sto cambiando etichetta discografica e quindi sto aspettando di firmare con la nuova, poi decideremo insieme. Non sono ancora in grado di dire quando uscirà».


Autore: Andrea Grasso
Pubblicato su: http://www.dietrolequinteonline.it/?p=8507

venerdì 9 marzo 2012

Strangeland, il nuovo album dei Keane

Annunciato in questi giorni il nuovo album dei Keane, dal titolo Strangeland, che uscirà il prossimo 7 Maggio in ben quattro versioni fisiche (più ovviamente quella digitale).
Ecco la lista dei brani della versione standard su CD:


1. You Are Young 
2. Silenced By The Night    
3. Disconnected
4. Watch How You Go
5. Sovereign Light Café                      
6. On The Road
7. The Starting Line
8. Black Rain
9. Neon River
10. Day Will Come
11. In Your Own Time
12. Sea Fog

Oltre al CD standard, sarà disponibile una versione "extended" in CD contenente quattro bonus track:


13. Run With Me
14. Its Not True
15. Strangeland
16. The Boys


Inoltre ci sarà una versione deluxe consistente in un box-set contenente: 


  • il CD con i 16 brani sopra elencati: 
  • un DVD con delle esibizioni acustiche dal vivo e un dietro le quinte sulla lavorazione dell'album;
  • un libro di oltre 20 pagine con delle foto esclusive tratte sempre dalle sessioni di Strangeland e una "storia breve" scritta dall'autore William Boyd.

Infine, l'ultima versione prevista è quella in vinile: l'LP in questione conterrà solo i 12 brani dell'edizione standard.


Con questo album, prodotto da Dan Grech-Marguerat, i Keane diventano ufficialmente un quartetto: infatti l'anno scorso è stato annunciato l'ingresso come membro a tutti gli effetti di Jess Quin, chitarrista e bassista, che in realtà ha già collaborato in qualità di "musicista aggiuntivo" coi Keane dal 2007.
Tim Rice-Oxley, tastierista della band, ha dichiarato tempo fa in un'intervista che questo nuovo album è musicalmente vicino ad Under The Iron Sea, il loro secondo album, anche se in realtà vi si possono rintracciare elementi di tutti e tre gli album precedenti.
Tom Chaplin, il cantante, ha invece successivamente dichiarato che il nuovo album tende più verso il pop, seguendo la direzione presa con successo dal loro terzo album, Perfect Symmetry.
Siamo dunque curiosi di sapere se c'è stato col tempo un cambiamento di direzione o se piuttosto il disco ha più stili che rendono dunque compatibili entrambe le dichiarazioni.


L'ultima uscita su disco dei Keane risale al 2010 e consiste nell'EP (extended play, una specie di mini-album) Night Train, contenente otto brani (e non considerato quindi ufficialmente come il loro quarto album).


Fonti: keanemusic.com, wikipedia

domenica 4 marzo 2012

Pipes of Peace: Analisi di un McCartney Minore




Un album di scarti e canzoni registrate durante l’impegnativa lavorazione di un film. Tutto questo e non solo è “Pipes of Peace”, disco di Paul McCartney datato 1983 e realizzato a partire da brani provenienti dalle sessions del fortunatissimo “Tug of War” (1982) e completato con nuovi pezzi incisi in pochissimo tempo durante le pause del set di “Give My Regards to Broad Street”, pellicola che sarebbe poi uscita nel 1984 e che lo vedeva recitare da protagonista in una storia da lui stesso scritta. Oltre alla qualità non sempre eccelsa delle composizioni, stupisce in negativo anche l’operato di George Martin, storico produttore dei Beatles, che dopo l’ottimo lavoro fatto sull’album precedente qui sembra “agire” di meno, dando vita ad un qualcosa di più semplice ed annacquato (anche lui è coinvolto nella colonna sonora del film e quindi “distratto”), di poco convincente. Non un capolavoro, dunque, ma un prodotto gradevole con alcuni episodi molto validi (due i singoli di successo) al quale sicuramente non ha giovato il confronto con quel “Tug of War” che, invece, contiene composizioni ed esecuzioni di altissima qualità ed è quasi unanimemente ritenuto tra le cose migliori del McCartney solista. Il cast di “Pipes of Peace” è sempre di prim’ordine: oltre all’immancabile moglie di Paul, Linda, che contribuisce saltuariamente a cori e tastiere, e all’ex-Wings Denny Laine, troviamo Ringo Starr, Eric Stewart (proveniente dagli allora appena sciolti 10cc), Steve Gadd, Stanley Clarke e, ospite d’onore, Michael Jackson. Con quest’ultimo McCartney aveva duettato l’anno prima in “The Girl Is Mine” (brano di Jackson inserito in “Thriller”), cominciando un’amicizia che qui ci regala due pezzi scritti da entrambi, ma che si interrompe qualche tempo dopo per quello che Sir Paul vede come un tradimento: l’acquisto dell’intero catalogo dei Beatles da parte di Jackson.
Passando ad una sintetica rassegna di tutti gli episodi dell’album, la title-track, uscita come singolo e arrivata al primo posto della classifica inglese, è tra le cose migliori; una ballata allegra che si avvale di un coro di bambini e che McCartney nelle interviste ha definito come una risposta a “Tug of War” (che dava il titolo al lavoro precedente), dove, pur augurandosi la pace, descrive la guerra come un male necessario; qui invece l’artista sembra credere possibile qualcosa di completamente diverso: pace, amore e positività; anche il videoclip è, in questo caso, significativo: ispirandosi a un episodio reale (nel Natale 1914, durante la Prima Guerra Mondiale, i soldati francesi e tedeschi lasciarono le trincee per scambiarsi gli auguri), Paul interpreta il doppio ruolo dei due generali, che nello spazio di un ritornello guidano l’incontro pacifico con l’esercito nemico. Il secondo brano è il duetto con Michael Jackson, “Say Say Say”, anch’esso balzato ai vertici delle classifiche (numero 1 in USA e numero 2 in UK); il pop/rock di McCartney si incontra col funk di Jackson e, ben amalgamandosi, dà vita ad uno dei pezzi più commerciali e radiofonici dell’ex-Beatles, molto ritmato e arricchito da una sezione di fiati e da un assolo di armonica.
Il video è un classico spesso trasmesso anche ai giorni nostri dalle tv musicali, un vero e proprio cortometraggio (oltre alla canzone c’è un’introduzione “recitata”) dove i protagonisti Paul, Linda e Michael organizzano una truffa ai danni degli ingenui abitanti di un villaggio, spacciando loro una pozione miracolosa; si rivelano però dei truffatori “buoni” in quanto vanno a consegnare il ricavato a un orfanotrofio. “The Other Me” è una di quelle tracce che avrebbe forse avuto bisogno di una produzione più curata; la melodia è fresca ed allegra, quasi beatlesiana nella sua “infantilità”, ma il brano sembra un demo, essendo poco arrangiato e vedendo la presenza di un ristretto numero di strumenti. “Keep Under Cover” sembra quasi rifarsi alla Electric Light Orchestra (che paradossalmente a sua volta si ispirava ai Beatles!), per via del riff suonato con un violino; dopo una intro lenta che “anticipa” parte della melodia successiva, il pezzo prosegue con delle tipiche sonorità anni ’80, con batteria elettronica, molte tastiere e dei bei passaggi di chitarra elettrica, che accompagnano egregiamente un motivo accattivante e un testo pieno di luoghi comuni e domande retoriche del tipo “a che serve il burro se non hai il pane?”.
Chiude il lato A (se consideriamo il vecchio vinile) “So Bad”, una romantica ballata eseguita interamente in falsetto, che vede come strumento protagonista il piano elettrico e si avvale di un assolo fatto con uno strumento a fiato, che potrebbe essere un corno inglese ma anche un sintetizzatore (purtroppo i crediti dell’album sono scarni e non ci aiutano a identificare né che strumenti vengono suonati né chi li suona). Il lato B si apre col secondo duetto McCartney/Jackson, “The Man”; una canzone allegra che vede protagoniste delle chitarre acustiche ma anche dei flauti e un bell’assolo di chitarra elettrica e che, come la precedente collaborazione tra i due, mantiene comunque una elevata “orecchiabilità”. “Sweetest Little Show” continua il filone più acustico: è una traccia dal sapore country con una melodia molto semplice che ne richiama altre dello stesso autore, ma comunque gradevole; a spezzare la monotonia dell’episodio c’è anche un intermezzo con la chitarra classica, con tanto di applausi finali (visto che rappresenta appunto lo “show” di cui parla il testo).
“Average Person” è il tipo di pezzo che in genere suscita reazioni completamente avverse, nel senso che o lo si odia o lo si ama; il testo racconta tre aneddoti riferiti a tre “persone comuni” incontrate per strada che, come si scopre, hanno delle particolari ambizioni nascoste, e il tutto viene narrato e cantato da McCartney quasi “recitando” le tre storie; i numerosi effetti sonori intercalati e la melodia molto giocosa e “cartoonesca” (un po’ alla “Ob-La-Di, Ob-La-Da”) rendono il tutto perfetto come sigla di un cartone animato. Segue “Hey Hey”, uno strumentale scritto in coppia col bassista Stanley Clarke, che ha un riff carino ma non va purtroppo oltre quello; a metà strada tra il ripetitivo e il superfluo, poteva essere migliorato o evitato. Arriviamo a quello che è indubbiamente il momento peggiore del disco, momento che genera tra i fan di McCartney un senso di rabbia e di stupore; il buon Paul ha la geniale idea di fare una sintesi dei due titoli usati per la title-track di questo lavoro e per quella del precedente e se ne esce con “Tug of Peace”. Il problema ovviamente non sta nella bislacca pensata (che può sembrare buona o pessima a seconda dei punti di vista), ma nell’orribile arrangiamento elettronico e nella mancanza di una buona melodia. Il risultato è un pezzo scadente e quasi “offensivo” nei confronti appunto degli altri due (di “Tug of War” ci sono delle vere e proprie citazioni musicali). Chissà dove si trovava Sir George Martin quando è stata registrata questa canzone…
L’album originale si conclude con “Through Our Love”, la classica ballatona melodico-sentimentale infarcita di interventi orchestrali in pieno stile McCartney; bella ma non eccezionale, non spicca particolarmente in confronto ad altri brani simili scaturiti dal medesimo autore, ma è da rilevare l’imponente arrangiamento che valorizza il tutto. L’edizione rimasterizzata in CD pubblicata nel 1993 contiene anche tre bonus: “Twice in a Lifetime”, scritta per l’omonimo film del 1985 con Gene Hackman (in italiano “Due volte nella vita”), è un pezzo molto patinato ma con una melodia anonima e un inutile riff di sax; “We All Stand Together”, uscita come singolo nel 1984 ma registrata nel 1980, sempre con George Martin, per il cortometraggio animato “Rupert and the Frog Song” (opera dello stesso McCartney), è una traccia particolare, in cui un irriconoscibile McCartney interpreta varie voci di animali di fantasia affiancato da cori e da un’imponente orchestra; anche questo si può amare o odiare in quanto “brano da cartone animato”, ma se non altro conferma la grande poliedricità del personaggio; infine, “Simple as That”, pubblicato in una compilation benefica del 1986, è un reggae un po’ annacquato che, al pari delle B-side, può essere definito simpatico ma non memorabile, e, forse, ricordato più che altro per una curiosità: ai cori ancora una volta ci sono dei bambini, che però in questo caso sono i tre figli di Paul.


Autore: Andrea Grasso
Pubblicato su: http://www.dietrolequinteonline.it/?p=10286

 

giovedì 1 marzo 2012

E' morto Lucio Dalla

Con grande rammarico vi annunciamo che oggi è venuto a mancare a 68 anni il celebre cantautore bolognese Lucio Dalla, morto per un attacco cardiaco a Montreux, in Svizzera, dove si trovava per una serie di concerti. 
Dalla, che avrebbe compiuto 69 anni il prossimo 4 Marzo, era uno dei più affermati cantautori italiani, con una carriera che sfiora i 50 anni di attività artistica. Aveva appena partecipato all'ultimo festival di Sanremo dirigendo l'orchestra per la canzone  «Nanì» , cantata da Pierdavide Carone.



Sono stati i frati della basilica di San Francesco d'Assisi i primi a dare la notizia della morte di Lucio Dalla. Su Twitter, alle 12.10, cioè ventitré minuti prima dei lanci d'agenzia, il profilo della rivista online San Francesco patrono d'italia pubblicava la notizia, un servizio di cordoglio e anche l'ultimo racconto scritto da Dalla, con protagonista un francescano. E sono stati gli stessi francescani a informare, su Twitter, Lorenzo Jovanotti. 


Questo il ricordo dei frati di Assisi: «È morto Lucio Dalla, dolore e sgomento della comunità francescana conventuale di assisi per l'improvvisa scomparsa del cantautore di Dio. I frati del sacro convento sono sicuri e certi che San Francesco lo accoglierà per portarlo alla presenza del Signore. Lucio dalla è morto dopo aver fatto colazione. Un attacco cardiaco l'ha stroncato mentre si trovava in Svizzera per una serie di concerti».


Musicista di formazione jazz e poi autore dei testi delle sue canzoni, in una fase matura, ha suonato da clarinettista e sassofonista, ma anche da tastierista. Artista prolifico, la sua produzione ha spaziato dal beat alla sperimentazione ritmica e musicale, fino alla canzone d'autore, arrivando a varcare i confini della lirica e della melodia italiana.


«Mi manca l'amico», non un amico. Gianni Morandi appare scosso mentre al Tg1 parla della scomparsa di Lucio Dalla. «Ci conoscevamo dal '63 e eravamo legati anche dal tifo per il Bologna oltre che dalla passione per la musica. Tanti anni di amicizia ci legano. Sentire che ci ha lasciato mi ha colpito, non riesco ancora a riprendermi. Mi manca l'amico». Morandi racconta che Lucio è stato «uno dei più grandi, autore, cantante, musicista, jazzista, un uomo che parlava a tanta gente e sapeva comunicare». Per il conduttore del Festival di Sanremo, che solo pochi giorni fa aveva avuto Dalla in gara all'Ariston con Pierdavide Carone con la toccante «Nanì» , Lucio «è stato un artista unico, a me mancherà come molto anche come grande amico».


Anche Ornella Vanoni, su Twitter, dopo la morte di Dalla, parla di «Una notizia come un fulmine, un vuoto al quale non riesco a credere, il cuore si rifiuta di soffrire per l'impossibile».


«Un musicista, un poeta, un cantautore bravissimo... Sono sicuro che sarà studiato a scuola», è invece il commento di Renzo Arbore alla morte di Lucio: «un artista che aveva una vena originale non mutuata da altri». Arbore, dai microfoni del Tgcom24, non nasconde il «profondo dolore» per la scomparsa e «i molti ricordi comuni».


«L'ho sentito ieri sera, è vivissimo». Roberto Serra, bolognese amico storico di Lucio Dalla e fotoreporter di professione, non voleva credere alle notizie che arrivano da Montreux. «Non è possibile, mi ha telefonato ieri sera, stava benissimo, ed era felice, tranquillo, divertito e in pace con se stesso». «Era contento per un'intervista che gli avevano fatto - ha cambiato verbo Serra quando è stato chiaro che l'amico fosse scomparso per un attacco cardiaco - e per il tour europeo che aveva appena cominciato. Diceva che era emozionante ritrovare i luoghi di un analogo tour di trent'anni fa e di trovare, pur nella diversità delle situazioni, la stessa positiva risposta di pubblico di allora. Era a Zurigo, stava andando a Montreux, era felice». Il suo ultimo viaggio...


Fonte: ilsole24ore.com